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Musica

Concerto degli U2 a Barcellona, recensione a 360°

Gli U2 sono fondamentalmente persone molto timide. Hanno i loro tempi e hanno bisogno che il sangue gli cominci a ribollire nelle vene per sciogliersi e dare il meglio di sé.


Redazione FullSong
Di Redazione FullSong
Pubblicato il: 3 Luglio 2009
Musica
U2
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13 min di lettura
U2 concerto Barcellona
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Già, perché tutte le volte che mettono in scena uno spettacolo che vuole essere spiazzante, ambizioso, imponente e sontuoso scelgono di partire dal posto dove passano maggiormente inosservati. Fu così nel 1997 quando misero su il carrozzone kitsch del PopMart, quando Las Vegas era forse l’unica città al mondo dove un limone gigante e un’oliva infilzata su uno stecchino alto 40 metri potevano mimetizzarsi. Ed è stato così l’altra sera. Quale città infatti era migliore di Barcellona, la capitale del gigantismo, per dare il via al tour più costoso e megalomane della loro carriera? A Barcellona tutto è grande, tutto dà l’idea dell’imponenza surreale, a cominciare dal nome. The Claw. Si chiama così invece il palco che probabilmente rivoluzionerà per sempre il concetto di rock negli stadi. Un’imponente struttura circolare alta 50 metri che sovrasta, grazie a quattro enormi “zampe” metalliche, un palco minimale dalla forma rotonda piazzato nel bel mezzo dello stadio (più o meno). A ciò si aggiunge uno schermo anch’esso circolare, a forma di tronco di cono, sospeso sopra il palco. Visto da lontano il complesso somiglia a un enorme ragno di metallo. Da alcune foto pubblicate in internet avevamo già avuto modo di osservarlo dettagliatamente ma dal vivo, statene certi, è tutta un’altra cosa. I lunghi tempi di costruzione avevano suggerito alla band di iniziare i lavori di costruzione con largo anticipo rispetto alla data d’esordio e già diversi giorni prima del concerto la struttura era stata finita di montare e pronta per accendersi. Il mostro era lì da parecchio, nascosto nello stadio all’insaputa della città, ignara di averlo già in grembo da tempo. Sembra La Guerra dei Mondi di Spielberg.
Dopo una notte e un giorno interi passati in coda (a proposito, i numeretti per la fila funzionano davvero, in Italia sarebbe un miraggio) ci ritroviamo dentro il Camp Nou ai piedi dell’enorme struttura che vista da sotto mette davvero soggezione.
Purtroppo sappiamo che l’attesa sarà più lunga del solito, in Spagna la giornata inizia tardi ma – ahinoi ! – finisce anche tardi, il concerto è previsto non prima delle 22.
Dopo l’esibizione degli Snow Patrol ecco che inizia l’attesa vera, quella quando sai che adesso ci siamo, che manca davvero poco e la stanchezza accumulata sulle gambe dopo ore di attesa sotto il sole svanisce all’improvviso. Quell’attesa quando sul palco si crea l’andirivieni tra i tecnici del gruppo spalla che tolgono i loro strumenti e i tecnici dell’altro che sistemano i loro. Una goduria. Uno di quei momenti a cui non potremmo mai rinunciare. A un certo punto quel caos sembra calmarsi, tutto sembra pronto, la musica dagli altoparlanti si fa assordante, ogni momento può essere quello buono dove si spengono le luci, sale l’adrenalina e i battiti del cuore aumentano.
Alle 22 in punto la musica cessa, lo stadio che fino a quel momento era illuminato a giorno diventa improvvisamente buio, calano le luci, si alza il sipario.
Il primo a entrare è Larry, t-shirt bianca aderente e solita espressione corrucciata. Il batterista prende il suo posto esattamente al centro del palco e parte con l’intro di Breathe, il brano più potente dell’ultimo disco. A seguire, a uno a uno, entrano gli altri. Bono è l’ultimo ad arrivare sul palco e a prendere posto davanti al microfono. 30th June, ten 0 five, door bell ring.
Quello che salta subito all’occhio è che la band sembra davvero pronta e determinata.
C’è tensione, sì, ma positiva. Danno l’impressione di essere una squadra che arriva alla partita sapendo esattamente cosa fare e come farlo.
I primi quattro pezzi sono tutti estratti dall’ultimo disco. Dopo Breathe ecco No Line On The Horizon, la title track, Get On Your Boots e, ovviamente, Magnificent.
Per ascoltare qualcosa di datato (ma neanche tanto) bisogna aspettare Beautiful Day, brano manifesto entrato di diritto nella galleria delle canzoni storiche della band e che di Storia ne ha oramai una tutta sua.
Qualche secondo di silenzio ed ecco che parte il leggendario giro di chitarra di I Still Haven’t Found What I’m Looking For, immancabile meraviglioso inno all’irrequietezza spirituale,  con Bono che chiede a Edge di interrompersi un attimo per poter meglio ascoltare il coro dei 90.000 del Camp Nou che adesso sembra diventato una enorme cattedrale dove tutti piangiamo di gioia e cantiamo in coro. Mi torna in mente il Sermone del Reverendo Cleophus James. Do you see the light ? Adesso siamo in pieno periodo soul, il gospel, il blues, tanto è vero che subito dopo arriva anche Angel Of Harlem, il momento più toccante dello show perché dedicata a Micheal Jackson e sul cui finale emozionanti accenni a Man In The Mirror e Don’t Stop Till You Get Enough con Bono da impazzire che imita la voce di Jacko. Così, sulle note del pezzo che fu scritto in memoria di Billie Holiday, l’addio al Re del Pop diventa un saluto gioioso e un augurio di buona fortuna, ovunque lui si trovi. Infine, per chiudere in bellezza la parentesi “nera” della scaletta ecco ricomparire la bellissima In A Little While.
A questo punto il carrozzone sembra fermarsi, Bono inizia a parlare di uomo sulla luna e noi pensiamo che non siamo mica a un concerto dei R.E.M., quando all’improvviso sullo schermo appaiono in video-chiamata gli astronauti della stazione spaziale internazionale che ci salutano dallo spazio. Non può non tornare in mente lo ZOO TV Tour e i suoi collegamenti satellitari con le zone della ex-Jugoslavia martoriate dalla guerra. Qui non c’è nessuna guerra, anzi si ride e si scherza coi cosmonauti. Ciao Houston, qui è Houston. Ma la terra gira davvero ?
Terminato il collegamento ecco partire Unknown Caller, forse il pezzo più bello di No Line On The Horizon, che precede quella che è l’autentica chicca della serata, quella The Unforgettable Fire che la band non suonava dal vivo da quasi vent’anni, ora leggermente riarrangiata nella parte di batteria. Ed è qui che la scenografia inizia a fare cose che non t’aspetti. Ci si chiedeva quali diavolerie nascondesse The Claw e quali sorprese ci avrebbe riservato ed ecco che lo schermo a tronco di cono inizia a scendere come una tendina illuminata fin quasi sopra le loro teste, con le maglie esagonali che si allargano man mano e si distanziano tra loro di diversi centimetri.
Uno spettacolo di cui probabilmente si gode meglio dalla media distanza che non da sotto il palco. Subito dopo ecco partire City Of Binding Lights che fa sempre molto Vertigo Tour con quei giochi di luce a cui si presta volentieri. Sempre in tema di Vertigo Tour ecco, per l’appunto, Vertigo, che nessuno vuole ma che tutti cantano a squarciagola. Finiti gli yeah-yeah-yeah, a questo punto arriva la vera sorpresa, il colpo di teatro che nessuno s’aspetta: I’ll Go Crazy If I Don’t Go Crazy Tonight in una versione disco-dance totalmente rimasticata rispetto all’album. Irriconoscibile. Il Camp Nou sembra un enorme rave a cielo aperto, Bono canta su una base remixata e Larry, invasato, percorre la passerella suonando il bongo che porta a tracolla. Giurereste di stare sognando se non fosse che sta accadendo davvero, sembra di essere tornati ai tempi di Lemon.
Immediatamente dopo arriva la parte “politica” dello spettacolo anche se, fortunatamente, priva dei proverbiali pistolotti interminabili di Bono.
Sunday Bloody Sunday, Pride, la cui coda sfocia in M.L.K. e, infine, l’omaggio ad Aung San Suu Kyi, Walk On, mentre sulla passerella sfilano una ventina di ragazzi che indossano la maschera della leader birmana.
La band abbandona il palco e lascia spazio al Reverendo Desmond Tutu la cui immagine si materializza sullo schermo. All’apice del suo discorso parte in sottofondo l’organo estatico che tutti conosciamo. Lo sfondo si fa rosso. Larry tiene il tempo con le bacchette. E’ Where The Streets Have No Name. E’ Dio che arriva lì. Per molti, come me, è il momento più bello di ogni concerto degli U2, quello per cui vale la pena esserci e dove tutti quanti diventano una cosa sola. Quello quando puoi anche essere la persona più triste del mondo ma lì ti giri, ti guardi intorno e ti accorgi che non sei solo. Come al solito, lacrime miste a un senso liberatorio. E groppo in gola quando Bono corre per la passerella e Edge fa altrettanto in senso contrario.
Terminata LA canzone, ecco arrivare One, con Bono che indossa la maglia del Barcellona regalatagli da Pep Guardiola. Qui la band prende una stecca clamorosa ed è costretta a ripetere per tre volte la seconda strofa. Per carità, i classici errori del debutto, niente su cui valga la pena soffermarsi, ma la mente non può non correre a quel disastroso esordio di Las Vegas 12 anni fa. Qui però è tutto affrontato con maggiore tranquillità e leggerezza e l’impressione è che, sì, la band si riascolterà per correggersi ma alla fine non ne farà comunque un dramma.
Ancora una breve pausa e sono di nuovo sul palco per il secondo bis. C’è curiosità attorno al nuovo personaggio annunciato da Bono in diverse interviste nei mesi scorsi. Ed eccolo, sulle note di Ultra Violets, un novello Mirrorballman stavolta senza rivestimento di lustrini argentati sulla giacca ma direttamente decine di luci rosse che emanano fasci in tutte le direzioni. E’ tornato a recitare ed è irresistibile quando si dondola nel vuoto sospeso a un curioso microfono a forma di volante d’auto che scende giù dall’alto attaccato a una fune. Sembra Peter Gabriel a Sanremo nel 1983. Prima dei saluti, altro classico, With Or Without You, e chiusura affidata a Moment Of Surrender, pezzo evocativo e di grande intensità, forse da rivedere leggermente nell’arrangiamento.
In finale, un gran bello spettacolo dove nonostante l’imperiosa scenografia multimediale la band riesce a partorire uno show molto intimo dove la musica è sempre al centro di tutto.
Azzarderei che forse questo è il punto d’approdo al quale hanno sempre ambito, saper ricreare l’atmosfera intima e complice tipica dei concerti al coperto in enormi stadi con 80-90.000 spettatori davanti. Anzi, intorno.

Recensione a cura di Valerio Di Marco

Breathe
No Line On The Horizon
Get On Your Boots
Magnificent
Beatutiful Day
I Still Haven’t Found What I’m Looking For
Angel Of Harlem – Man In The Mirror – Don’t Stop Till You Get Enough
In A Little While
Unknown Caller
The Unforgettable Fire
City Of Blinding Lights
Vertigo
I’ll Go Crazy If I Don’t Go Crazy Tonight
Sunday Bloody Sunday
Pride
M.L.K.
Walk On
Where The Streets Have No Name
One
Ultra Violets
With Or Without You
Moment Of Surrender

Punteggio: 8

TAG:U2
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