L’uomo bicentenario inaugura l’ascolto ed apre il disco: una chitarra in primo piano che sembra incespicare tra le note e tra le battute, ma in realtà l’effetto pare essere più che altro un espediente ritmico volto a scansionare non solo la melodia, ma anche il cantato. La voce, infatti, entra orgogliosa in questo pezzo che sembra un canto liberatorio, dai toni volutamente esasperati. La parte ritmica è incalzante ed agile, ai limiti dell’arroganza.
Si passa quindi a Tattica e disciplina, pezzo dalla bella chitarra introduttiva ma dal suono un po’ sporco; la voce limpida e le parole ben scandite portano ossigeno e freschezza al brano, sostenuto da un basso ben presente che fa assumere al pezzo un tono intimista e molto rock.
La soluzione, terza traccia del cd, parte subito con un cantato che, malgrado l’apparenza sussurrata e calma, non ritarda ad introdurre l’anima rock del pezzo; la chitarra, però, non sembra abbastanza agile, tuttavia la peculiarità di questo pezzo risiede nello scandirsi delle parole che regalano una sorta di contro-ritmo al brano: effetto particolare e curioso. Il cantato maschile è un urlo di rabbia che però avrebbe potuto trovare miglior sfogo per mezzo di una metrica più decisa; malgrado questa piccola debolezza, questa circostanza non risulta decontestualizzata.
Si passa a La distruzione, un brano dal testo cupo che, di conseguenza, si adagia su ritmi e melodie dark, dal rettrogusto post-punk. E’ un pezzo desolato ma anche molto carico di tensione, un brano tiratissimo che non a caso affida la sua conclusione ad un brusco finale senza sbavature: molto tagliente, molto teso, decisamente adatto al brano nella sua globalità.
Il sonno del Coyote è un urlo continuo dal ritmo che sale e scende: una corsa a perdifiato tra l’inquititudine, l’ansioso e l’onirico. E’ il pezzo che rompe l’atmosfera precendente per dare un break e ripartire su nuovi percorsi.
Si passa quindi a Inferno/Paradiso: a questo punto dell’album ci si aspetta già a priori lo stile dei Luminal, con la cadenza della voce femminile che non riserva ulteriori sorprese e con temi che restano nel range del cupo. Chitarra e batteria ben riescono a sottolineare la tensione ed il pathos.
Lumen parte con toni più soft e rilassati, quasi fosse una ballad dedicata non tanto all’amore – come tradizione rockeggiante vorrebbe – quanto all’io di nostalgiche riflessioni. Lumen è la classica canzone ideale per l’ipotetico finale di uno spettacolo live poichè è un brano che offre un ritmo più morbido ma sempre pieno di carattere e inoltre sembra offrire un respiro più ampio e proteso ad un arrivederci.
Parte Il Regno: ecco tornare alla carica i Luminal, quelli del ritmo incalzante e sostenuto, con chitarre aggressive e un basso pungente. La voce urlata e la pluriripetuta parola “Sacro” restano nelle orecchie anche a chiusura di pezzo che – breve, rapido, intenso – dura soli 80 secondi.
Dammi tutti i tuoi soldi non convince: corvi e gatti diventano i bersagli – si spera metaforici – dell’inquietitudine dell’artista. Un pezzo ambiguo, con acuti non esattamente centrati; il ritmo capriccioso e la tematica non del tutto brillante non rendono questa canzone tra le migliori dell’album.
La lunga corsa si apre in una schitarrata dall’eco lontana, dal sapore Muse style; presto però l’atmosfera cambia e sembra di essere catapultati tra le pagine di un romanzo noire. E’ un pezzo suggestivo che offre spiragli di luce dopo brani dark. Sembra di leggere una storia nella quale, dopo colpi di scena negativi, si aspetta in trepidante attesa il risvolto positivo.
Il fiume è la traccia che chiude questo percorso musicale e lo fa con un tono molto più intimo ed introspettivo. Un’introduzione apre la strada al dispiegarsi di un pezzo musicalmente ampio e generoso per ciascun artista che vi partecipa; l’immagine del fiume che scorre e che porta via l’ombra carica dell’inquietitudine di cui è pervaso il disco è la giusta conclusione di questo lavoro.
Quando Canzoni di tattica e disciplina sembra terminato, si lascia andare il lettore ed ecco spuntare un’altra traccia nascosta in quella precedente. Stavolta si scopre un estratto live che narra di una storia veramente triste: il dolore per la malattia e la tortura di un lutto non elaborato. La canzone, caratterizzata da un basso suadente e molto presente, è arrabbiata ma fortemente ansiogena; la sensazione che lascia non è gradevole ma è improntata quasi alla crisi di panico; meglio sarebbe stato terminare il cd con Il Fiume.
L’ultimo respiro del cd è affidato ad una frase che, malgrado possa apparire banale, non è mai abbastanza presa in considerazione nella vita di tutti i giorni: “Aspettiamo sempre tempi migliori ma non ci rendiamo conto che non c’è miglior tempo del presente“.
Null’altro da aggiungere: i Luminal sembrano saperla proprio lunga.
Punteggio: 6