Il nome forse ai più non dice molto ma in realtà sostituisce Arezzo Wave, storica rassegna musicale trasferitasi da qualche anno nella cornice della città labronica.
Luglio suona bene. E’ il nome di una manifestazione musicale che si tiene a Roma in questi giorni. Ed è quello che devono aver pensato i management delle rock-band di mezzo mondo quando hanno pianificato i rispettivi tour per questa estate e hanno deciso di presentarsi nel nostro Paese tutti insieme nello stesso mese.
Lo stadio Armando Picchi di Livorno si presenta come un graziosissimo impianto di provincia d’altri tempi a poche decine di metri dal mare, una conchiglia dalla capienza molto esigua e quasi totalmente privo della copertura fatta eccezione per una risibile porzione di tribuna. Si respira aria salmastra e un fresco vento di ponente soffia da Est verso la costa livornese.
In sede di prevendita, com’era ampiamente prevedibile, non c’è stato il tutto esaurito e ai botteghini si potevano ancora trovare biglietti fino a pochi minuti prima dell’inizio del concerto. Il parterre si presenta con enormi spazi vuoti, il palco è sistemato a ridosso di una delle due curve e la macchia degli spettatori copre a malapena metà del campo da gioco. Inoltre gli spalti sono quasi totalmente deserti ma nonostante questo l’atmosfera generale è di grande allegria e spensieratezza. Ai lati del prato sono sistemati stand di ogni genere tra i quali si può tranquillamente passeggiare e fare acquisti anche durante l’esibizione delle band sul palco.
La musica inizia al tramonto con una sequenza di nomi più o meno conosciuti: il primo artista a salire sul palco è Hogni, musicista proveniente dalle Isole Far Oer, poi i lussemburghesi Hal Flavin, i nostrani Marta Sui Tubi e gli inglesi Pure Reason Revolution.
I Placebo arrivano per ultimi con dieci minuti d’anticipo (si fa per dire) rispetto all’orario previsto sul cartellone, le 23.50 invece di mezzanotte, per la gioia di chi, finito il concerto, dovrà sorbirsi anche quattro ore di macchina per tornare a casa.
A chi li segue oramai da undici anni fa un pò impressione vederli sul palco nella nuova line-up dopo l’abbandono di Steve Hewitt, il batterista storico della band. Al suo posto un altro Steve, Forrest, 23 anni ancora da compiere, capelli biondo platino e busto muscoloso ricoperto di tatuaggi da surfista di Santa Monica.
E’ proprio la storia del batterista che all’inizio non convinceva: si faticava a comprendere perchè una dark band proveniente dalla fumosa Inghilterra fosse andata a cercare un drummer fin sulle coste soleggiate della California dove suonano punk-rock per adolescenti dalla mattina alla sera. Invece bisogna ammettere che la new-entry ha portato in dote tanto entusiasmo e un grosso contributo al suono della band, come già era vagamente parso ai primi ascolti di Battle For The Sun, il nuovo disco pubblicato poco più di un mese fa. L’ex-batterista degli Evaline offre una più ampia gamma di soluzioni musicali e possiede uno stile maggiormente variegato e ricco rispetto al pur bravissimo Steve Hewitt, il cui stampo industrial-ossessivo era un marchio di fabbrica per il Placebo-sound. Una sorpresa. Che sia stato lui, Forrest, a portare il sole nella band? Sicuramente sembra aver influito in positivo sull’umore degli altri due componenti.
La partenza dello show è tutta affidata alle nuove canzoni: Kitty Litter, Ashtray Heart, Battle For The Sun, For What It’s Worth eseguite, tra l’altro, nello stesso ordine della track-list presente sul disco. Quello che appare chiaro è che la band londinese sembra essersi lasciata definitivamente alle spalle la proverbiale cupezza, vero e proprio tratto distintivo che aveva caratterizzato tutta la loro produzione fino a Meds, a beneficio di un mood più solare e spensierato. E in questo, come dicevamo, il nuovo drummer ha influito parecchio, arrivando a rivoltare completamente anche gli arrangiamenti delle vecchie canzoni.
Si va avanti senza pause. Sleeping With Ghost, la title-track del loro disco del 2003 è il primo pezzo che ci riporta al passato recente di Molko e soci, un lento tra i più belli della loro discografia; Speak In Tongue è un’altra ballata di grandissimo spessore che, statene certi, durerà parecchio nei loro live-set e Follow The Cops Back Home, da Meds, è uno dei brani più romantici ed evocativi del loro repertorio. Lo show fila via che è un piacere. Martellante. Concreto. Senza fronzoli. Del resto i Placebo attualmente sono uno dei pochi gruppi al mondo in grado di regalare una grande serata anche senza dover per forza ricorrere a scenografie da kolossal, scenari alla Blade Runner e mastodontiche impalcature. Ovunque li metti sono capaci di partorire un live tirato, trainante e di grande sostanza. Il che ovviamente non significa che non prestino la necessaria attenzione anche all’aspetto visivo dello show.
Dopo il trittico di pezzi lenti ecco che si ricomincia a saltare sulle riconoscibilissime note di apertura di Every You, Every Me. Calda, energica, fiera. Le strofe sembrano troppo brevi per contenere tutto quello che Brian vuole cantare. Dopo il passo indietro fino a lambire le sonorità di Without You I’m Nothing del 1998 – da notare come da un pò di tempo quest’album, che è forse il loro più bello in assoluto, venga quasi del tutto ignorato in fase di stesura delle scalette – eccoci tornare al decennio attuale con la ruffiana Special Needs, la recentissima The Never-Ending Why che viene presentata come una canzone buddista e Black-Eyed con la quale finalmente viene menzionato anche Black Market Music, il disco pubblicato nel 2000.
A metà concerto avviene un curioso fuori programma: Brian chiede a tutti i presenti di fare due passi indietro per permettere ai poveri spettatori delle prime file schiacciati contro le transenne di stare un po’ più larghi e respirare un pochino. Una richiesta che ha ripetuto anche il giorno successivo a Verona. Reale preoccupazione per la salute dei propri fan o maliziosa trovata scenica? Sicuramente sono stati una trovata scenica i suoi improperi anti-berlusconiani scanditi a gran voce nello stadio di Cristiano Lucarelli, roccaforte rossa per eccellenza.
Il leader dei Placebo è un personaggio totalmente diverso da quello che fino a poco tempo fa si divertiva a far parlare di sé e dei suoi orientamenti sessuali i giornali di mezzo mondo. Oggi è un frontman maturo e navigato capace di trasmettere calore umano e coinvolgere lo spettatore col solo potere dello sguardo. A guardarlo oggi nessuno direbbe che sia la stessa persona di otto anni fa, quando all’Ariston di Sanremo mostrò il dito medio al pubblico delle prime file che lo apostrofava dopo che aveva sfasciato un amplificatore, oppure quando provocò l’interruzione di un concerto a Perugia perché si presentò sul palco talmente ubriaco da non riuscire ad andare avanti oltre la prima mezz’ora. Oggi parliamo di un uomo che ha quasi raggiunto il traguardo degli “anta” e che sembra finalmente aver trovato la sua esatta dimensione, lontano dagli eccessi di inizio carriera e dal cliché di rockstar androgina e maledetta.
Per un Brian in forma smagliante c’è uno Stefan Olsdale davvero irresistibile. Nei concerti è lui il vero showman del gruppo: scorazza per il palco, brandisce la chitarra per incitare il pubblico, sfila, si contorce. Uno spettacolo nello spettacolo.
Ci si avvia verso la conclusione della prima parte con Happy You’re Gone, l’energica Meds, Come Undone e Special K, oramai entrata a far parte di diritto nella galleria di classici della band, il pubblico ripete il pa-ra-pa-pa-pa senza neanche più bisogno di essere esortato a farlo.
“Questo non è un addio, sapete cosa intendo dire“. Ed ecco partire l’attacco del piano di Song To Say Goodbye. Sul fatto che Brian fosse un uomo di parola non ci sono mai stati dubbi, per cui eccoli tornare sul palco per i bis: Infra-Red con lo stesso attacco del Meds tour, The Bitter End e, tanto per rendere la fine ancora più amara, la claustrofobica e angosciosa Taste In Men a chiudere un’ora e trenta minuti di grandissima musica.
Finito il concerto ci si avvia verso i cancelli d’uscita con la consapevolezza di aver speso davvero bene i soldi del biglietto. Uno spettacolo penetrante, equilibrato, di gran classe. Del resto, buona scuola non mente. A livello di concertistica dei Placebo si parla sempre poco però, anche se forse non saranno tramandati ai posteri per aver rivoluzionato il rock, dal vivo rimangono comunque una di quelle poche band al mondo capaci di lasciare il segno, sicuramente molto di più di tanti altri loro colleghi maggiormente osannati e reclamizzati.
Recensione a cura di Valerio Di Marco
01. Kitty Litter
02. Ashtray Heart
03. Battle For The Sun
04. For What It’s Worth
05. Sleeping With Ghosts
06. Speak In Tongue
07. Follow The Cops Back Home
08. Every You, Every Me
09. Special Needs
10. The Never-Ending Why
11. Black eyed
12. Happy You’re Gone
13. Meds
14. Come Undone
15. Special K
16. Song To Say Goodbye
17. Infra-Red
18. The Bitter End
19. Taste In Men
Punteggio: 8