In questo “Caratteri mobili” c’è la dissonanza e la puzza di ferro, c’è la trasgressione di chi non ha in mente alcuna forma precisa e c’è l’irriverenza di chi non ha troppa voglia di prestare attenzione ai clichet.
Ci sono andamenti “anticati” e dal gusto tribale come in “Nella bocca del leone” che appena rimanda a quel velo nascosto di Rino Gaetano che a suo modo a condizionato e contaminato l’immaginario tutto di questo lavoro…almeno credo, almeno queste sono le forti sensazioni che mi tornano indietro. E se il clichet del grande commercio è bandito diversamente non si dica di quello che la scena indie sta inneggiando da tempo e brani come “Andiamocene a Taiwan” oppure “Cos’era che volevo dire” sono perfetti risultati di come le strutture e le mode del momento dettino legge, in cui troviamo un romanticismo palesemente stonato e “ aleducato” che viene dolcemente lasciato riposare tra storie di tutti i giorni senza troppi giri di parole e vezzi letterari, in un equilibrio fine e gustoso di melodie che se ne fregano di essere riconoscibili.
Ed è così che questo disco di Carlo Marinelli fa esattamente il mestiere che è chiamato a fare, con un gusto sicuramente discutibile ma altrettanto fermo e capace di ricoprire il ruolo ed lo spazio di questa nuova scena indie in cui l’opera trova degno riparo e bellissimi riscontri di critica.
Un bel movimento per lo spirito e un bell’ascolto per le nuove anime contadine.
RECENSIONE DI: LUCA MARSI