Un altro lavoro elettronico, digitale ma che in più gioca forti carte orchestrali anche grazie alla collaborazione con Flavio Ferri. Ottodix ci regala 9 nuove composizioni a cavallo tra la psichedelia digitale e la canzone d’autore, cercando di raffigurare attraverso testi tutt’altro che banali quella che è la sua visione dell’uomo dal compartimento infinitesimo alla scimmia passando per un’evoluzione che lo conduce a guardare il cosmo intero.
Ed ecco che la prima “Cern” ovviamente contrae debiti di forma con la visione microscopica della materia. Da qui ha inizio il viaggio a centro del quale c’è il presente di un ragazzo di oggi figlio della nostra quotidianità. Ottodix mette a nudo la solitudine digitale, i social, i like e tutto il mondo intriso di apparenza. Bello anche il video correlato che troviamo in rete. L’aspetto sociale è assai presente nella metafora di Ottodix.
Belli i riferimenti politici e militari di “Planisfera” quando dice per esempio “… puntano le armi difendendo la stabilità…”. Ed è proprio con “Planisfera” che arriva il primo vero passaggio di ottica dall’uomo e dalla sua materia alla visione più globale, quindi ci si approccia al tutto sistema che lo circonda. Appigli pop (o “space pop” come direbbe qualcuno) quando suona la bellissima “Zodiacantus” contrapposte a visioni decisamente extraterrene nella suite allucinogena finale “Multiverso”.
Non guizza di melodie chissà quanto accattivanti. Non da troppi appoggi alle mani del pubblico quando cerca sostegno durante l’ascolto. E per la verità, parlando proprio delle linee vocali, molte canzoni restituiscono spesso una sensazione di ripetitività. Come dire che in tutto questo mare di sacerdotali visioni del tutto non c’è comunque un riferimento preciso alla canzone che dalla Madre Terra prende origine… tanto per restare nella metafora.
Un disco importante quello di Ottodix. Un disco difficile da ingoiare. Ci vuole una buona dose di trasgressione e audacia per giocare al gioco dell’immaginario.
Luca Marsi per FullSong