Si intitola “Le Strade Popolari” il primo disco del cantautore calabrese Michelangelo Giordano. Dopo aver tentato la carta Sanremo, ecco la prima prova discografica del giovane artista.
Una bella voce, fresca e intensa, intima e didascalica, una canzone popolare che di popolare si vuol vestire senza evitare soluzioni melodicamente pop e quel gusto per l’attualità testuale, nella forma come nei messaggi. Canta la provincia Michelangelo Giordano, canta la vita nata e divenuta tra le strade delle sue città e dei suoi quartieri, canta con strumenti acustici senza alcun ausilio digitale (che nel moderno di oggi sembrano essere ovunque). Ce la si può fare, ce la dobbiamo fare anche da città meno famose di Milano e Roma. Canta soffice e con fare ingenuo soprattutto citando il singolo con un video non troppo a livello qualitativo del resto del disco: “Chi bussa alla porta”. Metafora e raffigurazione fin troppo didascalica – appunto – di un famigerato esattore delle tasse che bussa alla porta di casa e disturba inaspettatamente una quotidianità mattutina. Ma parla che di Mafia, purtroppo e doverosamente, come nella struggente “Nun cangiunu li così” in cui impreziosisce il tutto col suo dialetto e con una prefazione al brano in cui ci lascia ascoltare il discorso che Rosaria Costa – vedova di dell’agente Vito Schifani morto nella strage di Capaci – fece davanti un’intera Italia in preda alla vergogna e al dolore, vittima e protagonista di alcune delle più cruenti pagine della nostra storia non immediatamente recente.
Con la produzione di Stefano Pulga, Michelangelo Giordano porta a casa un cofanetto di canzoni forse ancora ingenue e troppo didatticamente confezionate, che fanno il buon verso al populismo di Silvestri piuttosto che spruzzate di quelle radici bandistiche che fanno da corona a dischi di Capossela e di Mannarino. Come premesse e come anticipazioni, direi che all’orizzonte si delineano solo cose belle.
di Luca Marsi