Simona Bencini(Voce),Stefano De Donato(Basso),Francesco Cherubini(Batteria),Luca Gelli(Chitarre),Simone Papi(Tastiere) eNadine Rush(Coro) hanno fatto ballare le piazze ribadendo ancora una volta, semmai ce ne fosse stato bisogno, di essere la band regina di un genere musicale virtuoso, raffinato ed elegante come pochi, in bilico fra funky ed acid jazz.
Studio Sessions Vol.1, prodotto da FepGroup/Warner Music, contiene una versione rivisitata del primo storico album della band e sei inediti nel segno di quelle sonorità funky e groovy che hanno regalato il grande successo alla band. Dall’album appare chiaro come sia stato grande il desiderio di Simona Bencini e compagni di mettere in musica arrangiamenti e tonalità ispirati alla forza dirompente dei loro live rendendo così il sound ancora più energico e coinvolgente.
Accanto a grandi hit come Gelosia e Liberi di liberi da troviamo il primo trascinante singolo Sei tutto quello che non ho e l’ultimo Immaginarmi senza te; completa la tracklist il brano strumentale Dancing machine, raffinata rilettura del pezzo dei Jackson 5 del 1974.
L’album, inoltre, è impreziosito da collaborazioni eccellenti:Mario Biondi con la sua voce inconfondibile duetta con Simona in Solo baci; iNeri per caso firmano la nuova intro di Gelosia;Max Mbassadòarricchisce con il suo straordinario timbro rapSei tutto quello che non ho; la tromba di Chiudo gli occhi è di Fabrizio Bosso;Gegè Telesforo partecipa con un solo di voce a Batti il tempo; in Dove sei la chitarra solista è diRiccardo Onori, storico chitarrista dei Dirotta su Cuba oggi alla corte di Jovanotti; il leader dei Ridillo Bengi duetta in Noi siamo importanti;Federico Malamanregala uno stupendo solo di basso in Solo baci.
Abbiamo intervistato Simona Bencini e Stefano De Donato in occasione di un loro live in Abruzzo presso il Mark World Headquarters di San Giovanni Teatino. È stata l’occasione per una piacevole chiacchierata su passato, presente e futuro dei Dirotta su Cuba.
Studio Sessions Vol. 1 rappresenta per voi come una ripartenza: è infatti il primo dopo la reunion della formazione originale.
(St)“ Sono vari i motivi per i quali abbiamo deciso di riproporre il primo disco in una nuova veste: innanzitutto perché ricorre il ventennale dalla pubblicazione, questa è una seconda vita della band, siamo ripartiti da dove tutto era iniziato. Poi perché abbiamo sempre sofferto del fatto che dal vivo sin dalle nostre origini noi siamo stati e siamo ancora un gruppo molto carico ed energetico, ma negli album questo aspetto non è sempre venuto fuori un po’ perché eravamo parte della produzione di una major per cui c’erano anche dei compromessi da seguire anche dal punto di vista radiofonico, un po’ perché in studio ci piaceva fare dischi molto suonati e ricchi, ne abbiamo fatti anche con l’orchestra, per cui la faccia “live” dei Dirotta, quella più funky jazzy e roots non era conosciuta da chi non ci aveva visto dal vivo. Dopo tanti anni ci è sembrato giusto metterla in evidenza, volevamo ripartire da questo aspetto della nostra musica, da quella più vera: siamo nati come una band live. Altro motivo sta nel fatto che noi abbiamo il vizio di cambiare i brani: dopo tre o quattro volte che li suoniamo quasi ci annoiano e li riarrangiamo: c’è un gusto da musicisti, noi siamo molto seguiti dai musicisti e dagli appassionati del genere che si aspettano sempre qualcosa in più.
(Si) “Il nostro live è sempre ricco di sorprese e citazioni, code in cui diamo la possibilità ai musicisti di esprimersi: siamo una delle poche band che ancora dà il modo ai suoi musicisti di fare i soli che nella musica pop non esistono più, invece nei nostri brani c’è uno spazio per lo strumento solista che può improvvisare creando un momento diverso all’interno di una forma canzone”.
(St) “È stato un normalissimo riprendere i nostri successi, rivederli come li facevamo dal vivo e inserirli un album. Avevamo voglia ovviamente di mettere dentro il progetto anche degli inediti, era giusto”.
Parlando degli inediti, come sono nati?
(Si) “Sono nati dopo la reunion nel 2012, abbiamo fatto una full immersion con Stefano e Rossano buttando giù tante idee riprendendo le fila di un discorso interrotto in precedenza ma cercando anche di immaginarsi come i Dirotta su Cuba devono essere oggi dopo i dieci anni di interruzione del nostro sodalizio. Ci siamo immaginati come se lavorassimo accanto ad un dj guardando al sound internazionale del momento e pensando a quanto i dj oggi siano i nuovi producer, quelli che cioè hanno l’intuizione di portare avanti la musica”.
(St) “Quando è uscito Gelosia era un pezzo rivoluzionario: a prescindere dal ritornello bello ed accattivante, in realtà gli addetti ai lavori si accorsero che in quel momento qualcosa stava cambiando nella musica. Noi abbiamo fatto questa rivoluzione in maniera inconsapevole, non ce ne siamo resi conto. Girando poi l’Italia in tour e parlando con vari artisti, che poi hanno partecipato al nostro nuovo album, ci dicevano tutti che stesse cambiando qualcosa. Oggi sembra normale, ma quando appunto uscì Gelosia, vedendo cosa c’era in classifica, si capiva l’innovazione. Ancora oggi certi canoni che abbiamo portato in un certo tipo di musica e anche oggi vengono usati. È stata un’intuizione, l’abbiamo fatto perché ci piaceva e non è stata una cosa studiata a tavolino, è stata la cosa giusta nel momento giusto”.
Studio Sessions Vol.1 è un disco pieno di collaborazioni: come avete scelto gli artisti che poi hanno partecipato al progetto?
(St)”Quando andiamo in giro incontriamo colleghi che oggi sono anche più famosi di noi, ad esempio Mario Biondi o Fabrizio Bosso: proprio quest’ultimo mi ha confessato di essere cresciuto coi dischi dei Dirotta su Cuba. Tutti questi personaggi ci hanno dato attestati di stima e dunque ad un certo punto ci è sembrato bello coinvolgere in un nostro progetto proprio quelli che avevano attinto da noi per poi intraprendere la loro strada. Quasi tutti hanno aderito in maniera entusiasta: da Bosso a Telesforo, a Biondi e tanti altri. Avremmo potuto fare un album triplo con ospiti”.
(Si) “Non è stata una scelta di collaborazioni dettata da motivi commerciali, altrimenti avremmo preso altri nomi: l’idea era quella di creare una community di artisti e colleghi che in qualche modo avessero il nostro stesso linguaggio e rientrassero dentro un mondo e potessero comprendere e avere la stessa base per improvvisare. Noi facciamo un genere che tutti i musicisti coinvolti nel progetto hanno nelle loro corde.
La scelta della collaborazione è stata dettata dunque da una idea comune di musica che piaceva ad ognuno di noi”.
(St) “I Dirotta su Cuba non si coverizzano dunque non abbiamo avuto il problema di riproporci.
Non abbiamo avuto “competitor” quando ci siamo fermati, nessuno ha continuato sulla nostra strada.
Come dice sempre Simona il nostro è un lavoro impegnativo, è quasi una missione: devi conoscere tanti generi, saper suonare in un certo modo dal funk al jazz, conoscere il linguaggio della musica d’oltreoceano. Noi poi facciamo musica in italiano, coi fiati ed arrangiamenti complicati. Costruire un brano dei Dirotta su Cuba è una cosa che nel pop è impensabile: con gli accordi che facciamo in una canzone qualcuno ci scrive anche un album intero, è complesso scrivere come noi. Noi abbiamo un pubblico di appassionati, suoniamo nei grandi festival, abbiamo recentemente suonato in uno di questi con gli Incognito e Mario Biondi: ci circondiamo di musicisti che lavorano in tutto il mondo, stiamo un po’ uscendo dallo stereotipo di band che riempiva il Festivalbar. Ovviamente sono percorsi fatti anche quelli, io non rinnego nulla!”
(Si) “All’epoca eravamo nel sistema “mainstream” e proiettati in tutto ciò che ne era conseguente, ci volevano tutti, eravamo nel momento d’oro, ma il nostro territorio naturale è quello dei festival e della musica suonata”.
Il titolo del disco lascia forse presagire un secondo volume?
(St) “Il titolo in realtà è una grossa presa in giro. Noi infatti stiamo parlando in questi giorni di incidere un nuovo album, bisognerà confrontarsi bene, ma non credo che ne faremo un altro incidendo ancora altre nostre vecchie canzoni altrimenti diventeremmo una cover band dei Dirotta su Cuba. Il Vol. 1 era per parlare in maniera scaramantica di un possibile Vol.2, ma in realtà faremo un disco di inediti, poi magari dentro ci potrà stare una nostra canzone rivisitata proprio per il vizio che abbiamo di cambiarle. Ci sono oggi dei nostri brani che non assomigliano per nulla alle versioni originali, potrebbe essere interessante riproporli per far vedere il nostro percorso artistico”.
Tornando al passato se doveste identificare un momento positivo ed uno negativo quale sarebbero?
(St) “È una domanda molto complessa. In realtà la cosa migliore che ci potesse succedere era avere il successo che poi abbiamo avuto con Gelosia, ma allo stesso tempo era anche la peggiore: dunque per me i due momenti coincidono. È stato grandioso ottenere quel successo, ma la sua gestione da parte di una band e del suo entourage che non sono pronti ad affrontarlo è stata veramente difficile e dura.
Ci abbiamo rimesso anche noi perché è stato molto faticoso: oggi direi che forse sarebbe stato meglio non avere un successo così forte, ma averlo gradualmente così pian piano avremmo potuto imparare in un ambiente dove ci sono tante brave persone ma anche squali come in tutti gli ambienti di lavoro.
La tua vita diventa pubblica quando fai il botto ed è difficile gestirla dunque i due momenti, positivo e negativo, combaciano”.
Il tour “Back to the Roots” che vi vide riuniti per la prima volta nella formazione originale fu favoloso: era evidente la vostra voglia di tornare insieme e fare qualcosa anche di nuovo.
(St) “Il fatto di essersi sganciati da un certo tipo di sistema ci ha dato la possibilità di fare questo mestiere come realmente andrebbe fatto: noi lo facciamo perché ci divertiamo, lavoriamo duro ma ci pesa meno perché è la cosa che amiamo. Abbiamo scelto il lato ludico della vita che ci dà anche la possibilità di vivere. Esserci allontanati dal sistema di mercato ci ha fatto bene: noi l’abbiamo lasciato già in grande crisi all’epoca della nostra scissione, ma oggi è veramente ancora più in crisi. Noi siamo felici ora: facciamo la nostra musica, la portiamo in giro e stiamo raccogliendo ciò che abbiamo messo insieme venti anni fa visto che in questo momento stiamo avendo dei riconoscimenti belli. Quando Simona è salita sul palco con gli Incognito io mi sono emozionato. Se penso a quando ci siamo presentati sul palco di Sanremo con Toots Thielemans, il più grande armonicista della musica moderna che ha insegnato a suonare a Stevie Wonder e suonato con tanti nomi come Pat Metheny e la Rai non ci permise di presentarlo, mi viene da pensare che siamo in un paese molto arretrato dal punto di vista culturale. Oggi quando postiamo quelle immagini abbiamo 10000 followers che ci dicono quanto fu bella quella serata: abbiamo dato qualcosa in un momento un po’ grigio della musica, oggi raccogliamo. All’epoca eravamo troppo presi nello stare a galla in una situazione faticosa da rendercene conto, credo che abbiamo seminato meglio di quanto potessimo mai pensare. Il nuovo disco racchiude la nostra voglia di fare musica per passione, come cioè andrebbe sempre fatta. Se si va a vedere quanto tempo si perde a chiacchierare di musica e quanto tempo si impiega a farla è assurdo: si parla tantissimo, in realtà si deve fare musica, questo è la nostra filosofia, voler fare musica ma con passione e divertimento”.
Piero Vittoria