In fondo su Vevo/YouTube conta “solo” 85 milioni di visualizzazioni totali tra lyric e official video, oltre a essere tra i singoli più downlodati nei digital store e suonati nell’AirPlay radiofonico con ottimi posizionamenti in TopTen o giù di lì.
Tra i protagonisti di questa primavera musicale c’è anche l’inglese Timucin Fabian Kwong Wah Aluo, classe 1987, – in arte Jax Jones – arrivato agli onori delle chart 2017 con un pezzo tormentone insieme alla cantante connazionale Raye. Cresciuto a pane e musica fin dalla prima adolescenza, il producer, musicista e cantautore si è formato a suon di Afrobeat, R&B, gospel e grime per poi votarsi definitivamente all’hip hop e house music costruendo, così, un mix di suoni live e beat sintetici.
La discografia di Jones racconta un artista poliforme che per un certo tempo ha lavorato dietro le quinte; artefice del successo di Duke Dumont I Got You (2014) nelle vesti di autore e coproduttore e di alcuni remix per Charli XCX e Missy Elliot e Pharrell, ora Jax Jones viene allo scoperto e ci mette faccia e voce.
Lo abbiamo incontrato a Milano per una bella chiacchierata tra progetti in corso, ambizioni e programmi per il futuro. Ecco l’intervista.
Jax, sei musicista, autore, producer ma quando hai incontrato la musica per la prima volta e quando hai deciso che sarebbe diventata una professione?
Ho iniziato a suonare chitarra classica a nove anni quando mi sono iscritto a un corso di avviamento alla musica statale, pagato dal governo e ho cominciato allora a scrivere canzoni e i primi beats. Ricordo che mio padre voleva che diventassi un medico mentre mia madre mi voleva banchiere: ero bravo a scuola e pensavano a una carriera che mi rendesse ricco o salvasse vite umane! Mi sono accorto presto che non faceva per me e attorno ai diciassette anni ho iniziato a pensare la musica come mestiere verso i diciott’anni, cominciando a suonare nei club; per accontentare i miei genitori sono andato comunque all’università facendo la doppia vita di studente e musicista. E oggi sono qui.
C’è stato un momento in cui hai pensato, invece, di mollare?
Certamente. Faccio musica a livello professionale da quando ho ventun anni e per un autore o produttore i soldi non arrivano così facilmente o velocemente, giorno per giorno. La mia famiglia voleva che rimanessi a casa fin quando non avessi avuto una mia completa autonomia e, all’inizio, ci sono stati giorni in cui ho fatto qualunque cosa per sopravvivere: mi sono esibito nei club e nelle chiese e quando, circa due anni dopo, ho firmato con l’Atlantic Records per un progetto pop/rock ho pensato di avercela fatta. Mi sentivo di poter diventare una rockstar ma ho fatto un album che la discografica ha reputato un disastro e non è stato pubblicato; a quel punto è subentrato un atteggiamento più umano, meno da bullo, vedendo anche le mie finanze diminuire. In quel momento ho pensato che forse era meglio andare a lavorare in un negozio; per fortuna, nonostante lo stress, sono andato avanti e oggi sono qui!
Hai un background multi etnico: quanto questa mix culturale ti ha formato musicalmente anche in termini di ascolti?
Diciamo che i miei primi ascolti sono legati a quelli della mia famiglia: mia madre amava Kylie Minogue mentre grazie a mio padre ho iniziato a seguire generi come l’R&B, il Blues e il Soul. Poi ho seguito tantissimo anche la South African House che mi ha insegnato davvero le basi dell’EDM e credo che l’Afrobeat stia vivendo oggi una rinascita a livello mondiale, a partire dagli UK dove si sta mescolando anche a influenze Trap.
Quando, in particolare, è arrivata la musica House?
La House Music verso i vent’anni, ma la consideravo solo qualcosa di commerciale che sentivo alla radio e in tv. La svolta arrivò ascoltando un genere da club più underground, come le produzioni French Touch, e allora nacque il desiderio di approfondire meglio il genere nel suo complesso. Oggi mi definisco un artista di House Music perché le mie radici sono lì ma, nello stesso tempo, mi differenzio da altri producer perché ho imparato a fare dischi che si suonano nei club e funzionano anche nelle radio.
Poi nel 2014 è arrivata la collaborazione con Duke Dumont e da lì il salto come solista: che cosa è scattato in te?
Stavo cercando nuove opportunità quando ho incontrato Duke con il quale abbiamo deciso di condividere un lavoro insieme (la hit I Got U). All’inizio ho pensato fosse fantastico, ma poi è diventato quasi frustrante stare in disparte, nell’ombra, mentre tutti gli applausi andavano a lui e non mi riconosceva nessuno nei club. Il momento della decisione arrivò quando realizzai di non voler nascondermi più alle spalle di un altro artista: da quel momento mi sarei concentrato su di me, avrei scritto e suonato io stesso le mie canzoni. Non è stato facile, tanto che a un certo punto ho pensato anche a come avrei potuto fare una hit da solo senza Duke Dumont… Essere arrivato oggi qui, sui miei piedi, è fantastico.
Da qui anche il tuo nome d’arte, giusto? Come nasce?
È un modo di dire inglese: “I’m on my Jack Jones” significa “fare qualcosa per proprio conto, stare da solo” e quando ho deciso di non essere più la coperta di Linus per nessuno mi è sembrato il nome più adatto. E poi ho aggiunto la “x” perché nella musica House la mettono dappertutto (ride, ndr)!
Con You Don’t Know Me è arrivato il successo globale: te lo aspettavi?
Quando scrivi una canzone pensando al suo successo non funziona! Rispetto al precedente pezzo House Work è un brano più pop – con un ritornello orecchiabile che arriva subito al pubblico – e la mia intenzione era solo quella di fare un passo avanti nella mia carriera, magari poter esibirmi di più o andare a qualche festival importante. Quando abbiamo rilasciato You Don’t Know Me dissi alla mia fidanzata che sarei stato felice di entrare in Top200 su iTunes e quando, invece, ho visto che piano piano saliva fino a raggiungere la Top20 e il secondo posto su Shazam mondiale è stato un sogno diventato realtà. E insieme a me Raye sta portando la sua voce in tutto il mondo: è una nuova artista ma molto conosciuta già dai critici e sono felice di averla al mio fianco in questo momento di affermazione.
Il singolo ha ben due videoclip, come mai?
Il primo videoclip è una versione cartoon di me stesso: ho sempre voluto essere disegnato come un personaggio dei fumetti! D’altra parte, bisognava considerare i diversi target e quindi abbiamo pensato anche a un secondo video con una giovane ragazza che balla in una casa vuota: in fondo, chi non vorrebbe scatenarsi come un’idiota quando non c’è nessuno attorno?
Come stai affrontando la popolarità e quali sono i prossimi progetti?
Beh, diciamo che non ho un profilo alto: in giro se mi riconoscono mi danno il cinque e si complimentano con me. Rispetto ad altri colleghi, non sono certo il più giovane dell’ambiente; quando ho iniziato io dovevi avere almeno trent’anni per permetterti certe cose mentre oggi raggiungono il successo anche da ragazzini! Rispetto molto i colleghi che riescono a costruire una carriera durevole, vedi Drake, e per il futuro voglio lavorare in termini di coerenza. E poi vorrei fare tanti tour, anche mondiali.
Impegni in arrivo ce ne sono?
Sì, sto preparando un tour live in UK: per la prima volta mi esibisco nei club da solo, con il mio nome e senza altri artisti di supporto. E poi è in arrivo anche nuova musica: non sarà una copia del precedente pezzo ma continuerà lungo la scia della club music radio.
Paola Maria Farina per FullSong