Un piglio decisamente internazionale e come al solito voglio mettere in chiaro quanto più possibile il concetto partendo proprio dal titolo. E in questo caso, i cultori della materia lo sanno, ho identificato una ragione ben precisa, in un momento storico e di un fenomeno sociale assolutamente inequivocabili.
Quando l’Irlanda emigra sulla East Coast americana, siamo sul finire degli anni ’60 e le due culture folk (apparentemente molto distanti tra loro) iniziano a colloquiare e finiscono per contaminarsi a vicenda: dulcimer contro chitarre acustiche, la guerra del Vietnam contro l’ispirazione romantica delle prime grandi rivoluzioni giovanili.
Insomma il folk di quell’epoca (di cui Bob Dylan è solo uno dei tantissimi rappresentanti) si traduce anche nella scena indie italiana ed è proprio questo che Charlie Risso cerca di conservare nel suo mondo musicale in un esordio che vi consiglio con sincera passione: si intitola “Ruins of Memories”.
Sono 11 inediti di grandissimo gusto e rispetto per l’epoca di cui sopra…brani come “Rosemary” o “Ash ad Arrow” sembra quasi impossibile siano figli dell’anno che corre.
Quasi ovunque quell’aria country on the road, un sound che in alcuni momenti graffia e in altri sembra opaco di vecchiaia, un mood traditional che mi rimanda (forse erroneamente) a progetti come quello di Marck Lanegan e Isobel Campbell in “Ballad of the broken seas” – anche se in questo caso le tinte e i rimandi musicali sono ben altri.
Forse uno degli esordi che ultimamente mi ha maggiormente affascinato perché quasi dietro ogni singolo istante ci sono sfumature culturali, storiche e stilistiche che non sono lasciate al caso. Bella la chiusura con la “psichedelia country” del brano “The Road”. Eh si…c’è anche questo…
Luca Marsi per FullSong
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