Si intitola “Applausi a prescindere” il nuovo disco del cantautore brianzolo Stefano Vergani. Un’opera elegante e decisamente in linea con tutta la sua produzione relativamente giovane se contiamo che il suo esordio ufficiale è datato 2005. E anche questo disco, in qualche modo, è un esordio dato che per la prima volta in questi dieci anni, Vergani si presenta come solista portandosi dietro una cornice di musicisti solo due dei quali pescati da quella che è sempre stata la sua formazione storica, l’Orchestrina Acapulco. Un disco prezioso, visionario a suo modo, letterario. L’intervista:
L’immaginario collettivo della Brianza restituisce uno scenario di industrializzazione, fabbriche e grandi città. Il tuo scenario musicale invece ci porta tutt’altra parte. Da dove prende origine una simile contaminazione?
“Sai, sono nato e cresciuto in Brianza, e come canto nella canzone “Primavera in Brianza”, è un luogo che ha molte facce, quella delle fabbriche, del lavoro e della freddezza abbastanza usuale tra le perone che ci vivono e quella invece dolce e bellissima che nasconde luoghi meravigliosi dove poter dar libero sfogo ai sentimenti. A diciott’anni sono andato via di casa, sono passato da Bologna, a Roma ho girato l’Europa, ed infine sono tornato da dove sono partito, la dove in fondo ho le mie radici e dove ho imparato a vivere. Poi ascolto praticamente qualsiasi tipo di musica pur che sia bella e per bella intendo che sia musica. Ed ho inoltre la fortuna di lavorare con artisti e musicisti di grande bravura, che sanno molto meglio di me cosa sia la musica”.
Stefano Vergani e l’Orchestica Acapulco sempre insieme fino a ieri. Oggi, in questo nuovo disco, scendi in campo da solista. Tuttavia lo scenario sonoro con cui vesti i tuoi brani sembra restare fedele a certi dettami e a certe scelte. Come mai? Inutile aspettarci anche qui delle rivoluzioni stilistiche?
“Vedi, la musica che facciamo è rimasta fedele allo stampo per due ragioni sostanzialmente, chi con me si occupa della produzione artistica sono le stesse due persone, Felice Cosmo e Luca Butturini, che mi accompagnano ormai da sempre. La seconda ragione ,stilisticamente parlando è che questo è il tipo di musica che io amo, senza troppi fronzoli, musica pulita, semplice. Non mi piace l’idea di dover fare per forza qualche cosa di nuovo, anche perché di solito quando mi fanno ascoltare qualche cosa di “nuovo ” solitamente non mi piace”.
“Applausi a prescindere”? Dove nasce questo titolo e cosa vuole raccontare?
“Innanzi tutto il titolo e’ nato per far sorridere chi lo legge di primo impatto, secondo e’ un modo di dire che ho durante i miei live alla fine di qualche canzone sempre per suscitare un po ‘di allegria”.
Occhiali da sole, tonalità di grigio e penombra nei tuoi video. Un fare l’artista per il tuo pubblico senza troppo esporsi oppure solamente una moda e un gusto estetico?
“Diciamo che ho una predilezione per il bianco e nero nei video, a colori vengo male, si vedono tutti i difetti, mentre il bianco e nero rende il tutto subito più romantico, magico. A dirla tutta ho dovuto giurare che il prossimo video che uscirà a breve sarà a colori”.
L’Italia e la tua musica, oggi piuttosto che ieri. Giochiamo a scegliere: quando e dove collocheresti lo Stefano Vergani che sei oggi?
“Tendenzialmente sono abbastanza grato al tempo dove sono nato e dentro al quale mi sto muovendo, sarebbe stato bello aver avuto 20 anni negli anni 60 o 70, ma conoscendomi probabilmente sarei morto alla svelta. Mi piace pensare che ci sia un tempo ed una vita per ogni cosa, se siamo capitati in questo secolo deviato ci deve essere un disegno più grande”.
Da artista e da cantautore: se qualcuno “Applaudisse a prescindere” ad un tuo concerto? Oggi, nell’era del tutto e subito, non pensi che davvero si “applauda a prescindere” cioè che ci sia poca cultura, curiosità e conoscenza di ciò che si celebra o che si condanna?
“Sul fatto che si sia perso completamente la voglia di ascoltare, la ricerca di qualcosa di nuovo che non sia il macinato che ci propinano tutti i giorni le grandi radio e per tanto la mancanza della curiosità siamo perfettamente d’accordo. Un tempo la musica faceva cultura, se la volevi ascoltare ti dovevi recare nel posto dove si faceva musica. Oggi la senti ovunque per strada, nelle metropolitane, nei supermercati, siamo subissati da una montagna di musica sostanzialmente tutta uguale e per lo più inutile. Bisogna tornare ad ascoltare, a cercare la musica, senza far si che sia la musica a trovare noi”.
Intervista a cura di Piero Vittoria