Vinicio Capossela, recensione di Marinai, profeti e balene

“Marinai, profeti e balene” è la nuova opera d’arte di Vinicio Capossela. Ecco la recensione del nuovo album di Vinicio Capossela: un disco che merita un attento e appassionato ascolto.

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Questa volta Capossela ci regala un viaggio all’interno di una cultura musicale, quella legata al mare e alle sue leggende; un viaggio allegorico tra filosofia, letteratura, metafore sull’essere umano passando tra Melville con il brano La bianchezza della balena (Moby Dick), ad Omero con il brano Vinocolo, o Conrad con il pezzo Lord Jim. Ma sono tantissimi i brani ispirati a questi scrittori.
Espressività e comunicatività vengono percepite appieno in tutti i diciannove brani, un viaggio su una nave che ognuno porta dentro di sè, con le sue speranze, con i suoi sogni, con le proprie attese e con le dolorose nostalgie.
Quasi novanta minuti di musica che ti rapisce e ti spiazza ascolto dopo ascolto, dove l’inizio dell’album è affidato al brano Il Grande leviatano: Moby Dick,la grande balena bianca, viene definita come Leviatano. Qui è un coro magistrale a fare da cornice all’intero pezzo, il nostro genio è stato accompagnato in questo lungo viaggio dal Coro degli Apocrifi e quello dei canti delle donne sarde Actores Alidos.
Con una cadenza geometrica si susseguono canzoni come L’oceano, OilalàPryntyl, primo singolo estratto dal disco, dove il cantautore si rifà a Scandalo negli abissi di Cèline, quel Louis-Ferdinand Céline, scrittore e giornalista belga, nonché critico letterario e polemista politico.
A differenza dello scrittore, la sirena di Capossela accetta le gambe ben volentieri, usandole immediatamente, danzando e cantando a più non posso.
Testi e musiche di canzoni come Polpo d’amor, Lord Jim, La bianchezza della balena o Billy Budd hanno melodie al limite dell’orecchiabilità, ed i testi più che scritti da un essere umano sembrano costantemente spuntati da un oracolo…
In brani come I fuochi fatui, Job e La lancia del pelide, Vinicio Capossela sviluppa dei trip musicali strumentali geniali, senza regole e schemi, ricreando una propria personale dimensione musicale fatta di suoni e rumori che sembrano palpabili e reali. Basti pensare che il cantautore ha fatto issare fin sul Castello Aragonese di Ischia, ad ottanta metri dal mare, un pianoforte degli anni trenta, precisamente un Seiler a coda lunga.
Ma le tracce continuano a scorrere sotto una forza ipnotica dell’ascoltatore che si fa sempre più sognante, si ha come l’impressione di essere di fronte ad un’accorta melodia di note in scansione visiva tra mare e creature, in cui l’artista cerca di cogliere l’essenza dell’umanità filtrando i significanti simboli essenziali del mare, con le inquetitudini dell’uomo, e i malumori dell’anima.
Con il disco numero due, ci avviciniamo ad un Capossela più omerico, la sua storia qui si interseca tra musiche sempre magniloquenti e storie mitologiche come nei pezzi Goliath, Vinocolo o Le Pleiadi, qui c’è odore di soffusi aneliti che si innalzano dal mare alle stelle.
Da Polifemo ad Ulisse che navigava in giro per il Mediterraneo inesplorato, si passa alla nostalgia dei marinai come nel pezzo Nostos modulato da note e vibrati di flauti e cori ammalianti ripensando a quell’ Itaca che è dentro ognuno di noi, al canto delle sirene.
Aedo, è un altro magistrale pezzo accompagnato dal suono della Lira di Psarantonis.
La Madonna delle conchiglie che benedice i marinai, Dimmi Tiresia, sono tracce che fondono due modi di suonare che si influenzano a vicenda, sempre sotto la voce ammaliatrice di Capossela.
Sirene tra pianoforte, voce e violini chiude questo capolavoro artistico.
Lo ammetto, sintetizzare questo disco non è stata un impresa facile: Marinai, profeti e balene è un labirinto in cui è lo stesso Vinicio Capossela che ci chiede di perderci con lui, è un album di godimento assoluto che non ha rasentato la perfezione, lo è!

Punteggio: 10

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